Il mezzo del vedere

La pittura, sostiene un mio amico, ed in particolare il ritratto sarebbe un’illusione di eternità, in quanto, diversamente da altri mezzi di riproduzione come la fotografia – pur se attraverso degli accorgimenti che ne celino la storicizzazione – sarebbe in grado di rendere l’impressione dell’atemporalità. Guardo un quadro del mio amico ed effettivamente non ne percepisco la data di realizzazione né tantomeno il momento in esso inscritto. Ma so anche, e questo ahimè per esperienza diretta, che si tratta solo di un’impressione, che l’uomo ritratto in quel quadro non è più così, che con ogni probabilità il suo volto è percorso da nuovi e più profondi tratti ad opera di quell’altro artista – il tempo, che al mio amico contende il lavoro – o che magari veste in modo diverso, oppure ancora che non evolve più il suo gusto nei vestiti, poiché sta perdendo inesorabilmente la sua consistenza corporea sotto due metri di terra.

I nostri augusti Padri ci dicevano che l’arte è mimesi del reale, tuttavia mi viene da chiedermi che senso avrebbe per me la riproduzione pittorica atemporale del mio – peraltro non memorabile – volto una volta che mi trovassi, come recita un detto delle mie parti, a mangiare il radicchio dalla parte della radice (il mio amico ha dipinto un mio ritratto che ho sempre trovato perfetto per il mio monumento funebre). Sarei meno morto? Una volta scomparsa la memoria del mio passaggio nel mondo – cosa che accadrà assai in fretta – a chi importerà mai del mio volto? Dirò di più: a chi può importare qualcosa in questo stesso momento della riproduzione fedele del mio volto, la cui irresolubile inconsistenza lo fa ascrivere alla condizione di spettro, di fantasma? Se ciò che vedo nel quadro è mimesi di una realtà che non c’è più, ha senso costringere il quadro stesso in posizione vicaria rispetto a ciò che esso rappresenta? In definitiva: Monna Lisa è interessante in quando donna o in quanto quadro?

Forse da queste domande – di cui evidenzio il carattere retorico – si potrebbe muovere per cercare di riformulare un possibile senso della pittura.

E lo si potrebbe fare spostando l’attenzione dal soggetto del quadro al quadro stesso come oggetto, prodotto di una serie di motivazioni dell’artista che si sono fatte forma attraverso la sua personale tecnica, la quale ha funto da catalizzatore.

Qual è l’elemento di durata del quadro, ovvero l’elemento che ne decreta la consistenza inemendabile (ovviamente al di là della sua evidente realtà fisica, emendabile con un semplice accendino)? Più che il mio dimenticabile volto non è forse proprio la tecnica – in quanto elemento attrattore, organizzatore e infine formalizzatore di una ipotesi – spettro, nel senso etimologico di strumento del guardare, quindi non di oggetto da guardare, di cui il mio volto non è che un elemento vicario o al massimo casualmente necessario (chiedo scusa per il paradosso) in quanto accidentalmente adatto a veicolare l’idea. La tecnica, tanto vituperata, poiché per un certo periodo era sembrata essere la responsabile dell’allontanamento dalla verità, dall’onestà, dall’immediatezza del gesto artistico – proprio perché funzione mimetica e quindi ancella della riproduzione – non potrebbe invece essere addirittura lo strumento più efficace per investigare le tessiture profonde del reale, la cui sostanza è talmente ineffabile che pretendere di rappresentarlo sarebbe vano quanto cercare di scrivere sull’acqua.

La tecnica è lo spettro in quanto strumento del guardare – il cannocchiale che avvicina e allontana le cose – e in quest’ottica è la vera consistenza del quadro. Il soggetto del quadro – che è lo spettro in quanto fantasma – si dà a guardare attraverso la tecnica, e la tecnica si prende l’enorme responsabilità di offrire un’ipotesi di sguardo – altro che mimesi!

Per venire infine alla questione dalla quale mi sono mosso per costruire questi quattro ragionamenti: chi dura? – chi ha l’illusione dell’eternità?

Per venire infine alla questione dalla quale mi sono mosso per costruire questi quattro ragionamenti: chi dura? – chi ha l’illusione dell’eternità? A mio giudizio il pittore in quanto incarnazione della tecnica, ovvero di nuovo etimologicamente, dello spettro, lo strumento del guardare.

Fabrizio Zamero